“Leccaculo” no, “testa di c…” sì, “co…one” forse. Motivo del contendere: le fatidiche ferie estive. E ora che siamo rientrati tutti al lavoro, sarebbe il caso di fare chiarezza (magari in previsione delle future vacanze natalizie). Peccato però che la legge, in tema di “insulti al superiore gerarchico” non sia né chiara né univoca. Insomma, il potere discrezionale del giudice, sul delicato fronte delle “offese al capo”, risulta particolarmente ampio. Non esistono certezze. E se poi mettiamo a confronto le sentenze emesse in nazioni diverse la questione si complica ulteriormente.
L’estate appena trascorsa, ad esempio, è stata caratterizzata da tre verdetti che sembrano fare a cazzotti tra loro. In Italia una dipendente che aveva dato del “leccaculo” al suo superiore per una vicenda di “periodi di villeggiatura prima concordati e poi revocati” è stata inizialmente licenziata, successivamente reintegrata e infine nuovamente licenziata (la solita giustizia ballerina all’italiana). In Inghilterra, invece, più o meno per la stessa ragione (un controverso ponte ferragostano) un’impiegata che aveva dato della “testa di c…” al capufficio si è vista, in rapida successione, sospesa, licenziata, reintegrata e dulcis in fundo risarcita con una somma pari a un anno di stipendio.
Soldi subito reinvestiti con un altro bel viaggio di piacere, con tanti saluti alla “testa di c…” che si è beccato addirittura una reprimenda disciplinare dall’azienda condannata al pagamento di ben 35 mila sterline per i “danni morali e materiali patiti dalla ricorrente” che aveva portato a giudizio la ditta. E come la mettiamo con il sempre più diffuso “co…one”? La Cassazione, rispetto a questa fattispecie di epiteto, è piuttosto elastica, alternando conferme di licenziamento a revoche (con eventuale risarcimento) del provvedimento espulsivo. “Lesione irrimediabile del rapporto di fiducia” o “licenziamento illegittimo sproporzionato rispetto all’offesa arrecata”? Questo è il problema. E la linea di confine va valutata caso per caso. Non può quindi esserci una regola valida sempre e per tutti.
La Corte ha comunque precisato che il fatto che il contratto collettivo applicabile parli genericamente di “litigi, ingiurie, risse” non implica che siano necessari episodi reiterati per giustificare il licenziamento. Ciò significa che “anche un singolo episodio, se di particolare gravità e inserito in un contesto tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, può essere sufficiente per il recesso datoriale”. Parametri di riferimento? “La volgarità e la platealità dell’insulto”. Come dire: se proprio dovete dare del “leccaculo”, “testa di c…” o “co…one” al vostro capo fatelo in a quattr’occhi e non alla macchinetta del caffè davanti a tutti i colleghi. Così, giusto per rendere l’espresso un po’ meno amaro.